> Stefano Cagol: BABYLON ZOO / TOKYOSPACE
Solo Show
OREDARIA. Rome, Italy
Catalogue, September 2005
Essay by PIER LUIGI TAZZI
(italiano sotto)
TOKYOSPACE TOKYO-GA
4. Night flight: the lights of the city mark the surface of earth with their own more or less thick brightness. The closed chamber of renaissance tradition has been defining itself, in a time of technological evolution and of the culture that accompanies it, into a flight cabin that passes through an open uninhabitable space, impracticable without the protection to which technology foresees. Therefore, while at the origin the open space was at risk but not precluded to direct experience, it has increasingly taken over characters of impracticability by converting itself into an empty and obscure space where life itself and its motions are threatened by immediate extinction. Anyhow this space is underlined by lights that are nothing but the reflex of the same point of observation, its analogue multiplied into an invading proliferation: the one who observes is similar to all what emanates light onto the void and hostile open space. Light apparitions and its movements are the appropriate substitute for life and its movements.
8. The town at night has its own throbs. Each light is the announcement of an event, be it real or only possible. The diverse nature, intensity, tone, quality of the throbs distinguish one town from another: New York, Moscow, Tokyo, or Florence, Paris, London, or again Fès, Naples, Istanbul. D'you know what I mean? (in English in the original version)
12. Shibuya or Roppongi Crossing. They are not the same thing. By the first, one gets lost without humbling himself into the multiplicity of multitude: everyone is similar to the other and memory fades in the identical. By the latter there are still ethnic, clothing, generational identities of a social role and operative function, in an amalgam that keeps distinctions. As through the vision of a kaleidoscope, as by the limpid and elementary sounds of a carillon.
13. View Deck from the fifty-second floor of the Mori Tower. Vision from the height. As far as the eye can see, towards the bay and beyond, towards the western mountains, beyond which in clear days the conic and appeasing peak of the Mount Fuji stands out, in the north towards the distant towers of Shinjuku. But also from the height to the Azabu Juban low houses and lanes, or to the massive towers of Akasaka. Or still and more vertically and nearby the view lands on the Roppongi Hills area, on Mr. Mori's hanging garden with its tiny rice-field, on the garden of the small temple.
But here everything is given back to a deconstructing cut and gives way to thoughts, as in a cubist composition that denies each perspective, unitary and all-embracing measure which is finally Tokyo's embedded structure, its puzzle, where closeness and distance within the actual space as by both personal and collective history, are adjacent. Lines of strength that are supporting structures, limit and décor. Solid floors and transparent walls that contain in a similar way moving figures and floating reflexes.
14. Antonio Vivaldi's 'Largo' in Winter as the soundtrack for the crossing and the station of Shibuya. The multitude crowds on three fronts, converges to the center and dissolves in the square, into the buildings, on the great streets, on the lanes and into the passages, as a great regular breath. Enormous luminous signs build up the complex architecture of the place. High above maxi-screens give back huge fragments of microstories.
Each image doubles and mirrors by converging and loosening among details and wholes, music and noise, harmony and fading.
Pacinko (Pacinko Makes Me Happy). Innocence and repetition compulsion are coupled in a less than judicious manner. The triviality of our daily life is shabbily tinged at the glittering of poor artifices.
That is why there is no more need to compose anything: a direct shot is enough, everything is already there.
Pier Luigi Tazzi, Capalle, June, 2005.
TOKYOSPACE TOKYO-GA
4.Volo di notte: le luci delle città segnano la superficie della terra con il proprio fulgore più o meno fitto. La camera chiusa della tradizione rinascimentale si è andata, nel tempo di evoluzione della tecnologia e della cultura che l'accompagna, definendo in cabina in volo che trascorre nell'aperto inabitabile, impraticabile senza la protezione a cui la tecnologia provvede. Mentre dunque all'origine l'aperto era a rischio, ma non precluso all'esperienza diretta, sempre di più ha assunto caratteri di impraticabilità, convertendosi in uno spazio vuoto e oscuro, dove la vita stessa e i suoi moti sono minacciati di immediata estinzione. Tuttavia questo spazio è segnato da luci che non sono che il riflesso del punto di osservazione stesso, il suo analogo moltiplicato in un'invadente proliferazione: chi guarda è analogo a tutto quello che emana luce nello spazio vuoto e ostile dell'aperto. Le apparizioni della luce e dei suoi movimenti sono il sostituto appropriato della vita e dei suoi moti.
8.La città di notte ha una propria pulsazione. Ogni luce è annuncio di un evento, reale o solo possibile. La diversa natura, intensità, timbro, qualità, della pulsazione distinguono una città dall'altra: New York, Mosca, Tokyo, oppure Firenze, Parigi, Londra, o ancora Fès, Napoli, Istambul. D'you know what I mean?
12.Shibuya, o Roppongi Crossing. Non sono la stessa cosa. Nella prima uno si perde senza annullarsi nella molteplicità della moltitudine: ognuno è simile all'altro e la memoria si disfa nell'identico. Nel secondo permangono le identità, etniche, vestimentarie, generazionali, di ruolo sociale e di funzione operativa, in un amalgama che mantiene le distinzioni. Come la visione nel caleidoscopio, come i suoni limpidi ed elementari del carillon.
13.View Deck al cinquantaduesimo piano della Mori Tower: Visione dall'alto. A perdita d'occhio, verso la baia ed oltre, verso i monti ad occidente, aldilà dei quali nelle giornate più limpide svetta la cima conica e pacificane del monte Fuji, a nord verso le torri lontane di Shinjuku. Ma anche dall'alto in basso sulle case basse e sui vicoli di Azabu Juban, o sulle torri massicce di Akasaka. O ancora e più in verticale e ravvicinata la vista plana sull'area di Roppongi Hills, sull'orto pensile del signor Mori con la sua minuscola risaia, sul giardino del piccolo tempio.
Ma qui tutto è restituito in un montaggio che smonta e da luogo a riflessioni, come in una composizione cubista, che nega ogni misura prospettica, unitaria ed onnicomprensiva, che è poi la struttura ad incastro di Tokyo, il suo puzzle, dove vicino e lontano, nello spazio reale così come nella memoria personale e nella storia collettiva, sono adiacenti. Linee forza che sono strutture portanti, limite e décor. Pavimenti solidi e pareti trasparenti che contengono in maniera paritetica figure in movimento e riflessi fluttuanti.
14.Il largo dall'Inverno di Antonio Vivaldi come colonna sonora per il trivio e la stazione di Shibuya. La moltitudine si assiepa sui tre fronti, converge al centro e si dissolve nella piazza, negli edifici, nelle grandi strade, nei vicoli e nei passaggi, come in un grande respiro regolare. Grandi insegne luminose costituiscono la complessa architettura del luogo. In alto i maxischermi restituiscono giganteschi frammenti di microstorie.
Ogni immagine si duplica e si specchia convergendo e sciogliendosi fra dettagli e insiemi, fra musica e rumore, fra armonia e dissolvenze.
Pacinko (Pacinko Makes Me Happy). Innocenza e coazione a ripetere si coniugano in accoppiamenti tutt'altro che giudiziosi. La trivialità della vita quotidiana si tinge dimessa allo scintillio di poveri artifici.
E allora non c'è più necessità di comporre alcunché: basta la ripresa diretta, ché è già tutto lì.
Pier Luigi Tazzi, Capalle giugno 2005.
|